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Il Professore ci spiega

Diagnosi patologica e counselling


Roy A. Filly affermò provocatoriamente che: “l’ecografia ostetrica è il modo migliore per terrorizzare una paziente in gravidanza”
 
In questa provocazione c’è una grande verità: l’ecografia ci permette, oggi, di identificare anomalie congenite strutturali del feto, e ciò è sicuramente un dato positivo; tuttavia il criterio che accompagna la comunicazione della diagnosi è un fattore di estrema delicatezza, perché invia due diversi messaggi che possono essere recepiti dalla coppia: il primo assume le vesti di una “sentenza”, il secondo lascia la porta aperta alla “speranza”. Quindi sul piano dell’esperienza decisionale di quella coppia il modo di presentare la diagnosi durante la consulenza è fondamentale per il destino futuro di quel bambino in utero.
Spesso, di fronte ad una diagnosi prenatale patologica, la domanda che più ricorre è: “Dottore, lei cosa mi consiglia?” ; ed è proprio questo tipo di domanda che evidenzia uno degli aspetti fondamentali nel percorso di assistenza alle famiglie che si trovano ad affrontare una diagnosi prenatale patologica: il counselling, inteso non solo come consulenza medica ma, soprattutto in questi casi, come relazione empatica con la donna e/o la famiglia, con l’intento di informare, ma anche dare un sostegno umano percepibile; creare dei punti di riferimento in una situazione che, spesso, fa venir meno ogni certezza, e che pone le famiglie in una condizione di estrema debolezza di fronte a scelte che segneranno per sempre la loro vita. L’approccio utilizzato dal medico in questa fase risulterà determinante per il percorso che la famiglia dovrà intraprendere.
Ma come presentare una diagnosi prenatale infausta e cos’è che cambia una “sentenza” in una “speranza”?
La metodologia scientifica più importante nel presentare una diagnosi prenatale infausta è la storia naturale della patologia, cioè, l’osservazione e lo studio, nel lungo periodo, dell’evolversi della patologia e del suo impatto sullo sviluppo del bambino malato, sul piano relazionale, scolare e di socializzazione dopo la nascita. L’informazione fondata sull’evidenza scientifica, ovvero l’informazione sulla patologia e sulle possibilità di cura, sia prima, sia dopo la nascita, derivante da studi scientifici rigorosi, rappresenta la base su cui costruire un percorso di accoglienza del bambino.  Il dato scientifico priva l’informazione fornita di quelle influenze e amplificazioni psico-sociali che spesso ingigantiscono l’evento patologico creando ansie e paure ingiustificate, e ridà alla coppia la lucidità necessaria per valutare con oggettività la situazione.
Da un punto di vista psicologico, dinanzi ad una malformazione fetale, i genitori cercano di individuarne le origini e le cause, pensano alle difficoltà connesse con imperfezioni fisiche e mentali del loro bambino,  e sperimentano confusione e inquietudine, come pure sensi di colpa e di vergogna e persino reazioni di ripugnanza e rifiuto; quasi sempre queste coppie si troveranno poste di fronte alla scelta tra l’interruzione della gravidanza o la sua continuazione, peraltro in momento di grande vulnerabilità.
Ecco, allora, che, alla consulenza di carattere medico-scientifico, occorre affiancare un approccio fondato sull’accoglienza, sull’empatia, sull’ascolto, sul dialogo verbale e non, finalizzato a tranquillizzare la coppia, affinché, tutte le scelte connesse alla condizione del bambino possano essere ponderate adeguatamente. Tale approccio risulta tanto più forte quanto più si accompagna alla proposta di scenari alternativi all’aborto. A differenza, infatti, degli aborti dovuti a cause psicosociali, gli aborti per malformazione in gravidanza mettono termine a gravidanze che sono desiderate. In questi casi la decisione di un aborto volontario distrugge completamente la progettualità genitoriale della coppia, oltre che la vita del figlio. Non bisogna infatti dimenticare che, qualunque sia la condizione malformativa, il “figlio” rimane tale e questa condizione non può essere né cambiata, nè cancellata: “non si elimina la sofferenza eliminando il sofferente”. E’, dunque, in questo secondo aspetto della consulenza, focalizzato intermente sulla relazione medico-paziente e sulle capacità comunicative e relazionali del medico, che si realizza quel passaggio dalla diagnosi come “sentenza”, alla diagnosi con “speranza”.

“Non è, certamente, facile comunicare e al medico sono richieste qualità che vanno al di là della preparazione tecnica: comprensione, comunicativa empatica, condivisione della sofferenza, capacità di lasciare spazio per l’ascolto e per il dialogo.
Spesso si assiste, però, alla comunicazione di una verità meramente diagnostica e prognostica, che non tiene conto né della totalità del nascituro né della sensibilità dei genitori. Eppure dovrebbe essere chiaro che la verità della medicina è ben diversa dalle altre forme di verità; è una verità che va offerta solo dopo aver preparato gli altri a riceverla; è una verità da collocare all’interno di una verità esistenziale, la quale sa dare sempre valore all’esistenza e alle sue dure evenienze; è una verità che deve essere sempre aperta alla speranza, perché non solo è più grande di ogni eventuale patologia, ma anche della stessa vita della singola persona.”[1]
 
 [1] Sgreccia E., Di Pietro M.L. (2009) Diagnosi prenatale e terapia fetale: problematiche etiche.  In. Noia G. Terapie Fetali. Poletto Editore pag.17

Approfondimento

♦ Filly RA. - “The best way to terrify a pregnant woman.” - J Ultrasound Med 2000 Jan; 19(1):1-5.
♦ Noia – A.M.Serio - F.Malatacca - M. D’errico- M.Tintoni - I. appa- G.Fortunato- “La Terapia Educazionale. Una nuova frontiera nella diagnosi del prenatale” - Studia Bioethica vol.1 (2008) n.2-3 pp. 171-177
♦ L’uso del Counselling nella diagnosi prenatale. Atti convegno “Il feto come paziente: dove comincia l’amore”. Associazione Italiana Divina Misericordia, Corato (Ba), 15 ottobre 2004.

 

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