Di Giuseppe Noia - Docente di Medicina Prenatale - Policlinico "A. Gemelli" - Roma
L’attuale pandemia da Covid-19 ha coinvolto tanti aspetti della vita relazionale e sociale e, come tale, ha portato la scienza prenatale a validare in maniera scientificamente corretta tutti gli aspetti clinici del Coronavirus e della gravidanza.
Recentemente (9 Marzo 2020), il Royal College of Obstetricians and Gynecologists ha pubblicato una sorta di linee guida per i professionisti della gravidanza in caso di infezione da Coronavirus. Inoltre una banca dati mondiale, il Reprotox (2 febbraio 2020), ha pubblicato una metanalisi dei più recenti lavori tra gravidanza e Coronavirus, tra cui i due lavori più recenti e molto noti di Chen H. et al. (Lancet, Febbraio2020) e di Zhu H. et al. (Transplantation Pediatrics, Febbraio 2020).
Abbiamo quindi una buona base di letteratura internazionale che, insieme ai dati clinici dei nati in Italia (40 bambini nati al Buzzi di Milano, 2 al Policlinico Gemelli di Roma ed altri in varie regioni italiane), costituiscono validi elementi per poter dare rassicurazioni importanti sugli aspetti relativi a Coronavirus e gravidanza.
Il primo aspetto da segnalare è che la polmonite da COVID-19, in gravidanza, in termini di gravità, non è dissimile da quello in donne non COVID-19 positive o fuori gravidanza. Questo è un dato importante perché dai dati di letteratura concernenti altre 2 epidemie, quella del 2002 (SARS=SEVERE ACUTE RESPIRATORY SYNDROME) e quella del 2012 (MERS= MIDDLE EST RESPIRATORY SYNDROME), in uno studio fatto al Princess Margaret Hospital di Hong Kong venivano riportati addirittura 3 decessi su 10 donne in gravidanza (30% di mortalità materna), 40% di necessità di intubazione e 60% di necessità di terapia intensiva.
Tutte e tre le epidemie sono dovute a CORONAVIRUS e le prime due condividono con il COVID-19 l’80% del patrimonio genomico. Quella diversità (20%) del patrimonio genomico, può rendere ragione della diversa gravità della polmonite in gravidanza, nelle prime due epidemie (SARS e MERS) rispetto a quella attuale.
Un secondo aspetto riguarda il passaggio del virus al feto con conseguenti complicazioni di tipo abortivo o malformativo, di induzione di parto prematuro e/o rottura delle membrane, di implicazioni sulla crescita fetale o addirittura di morte perinatale del feto.
I dati cumulativi della letteratura internazionale depongono per un mancato passaggio verticale dalla madre al feto poiché, tutti i bambini riferiti nei due lavori cinesi (Lancet e Transplantation Pediatrics), i 40 bambini nati al Buzzi, i 10 bambini nati nei vari ospedali italiani (incrociando test diagnostici su sangue, liquido amniotico, latte materno e secrezioni vaginali con altri accertamenti fatti dopo la nascita), sono risultati tutti COVID-19 negativi. Per di più i 20 bambini, di casi ben documentati della precedente epidemia SARS in gravidanza, sono risultati tutti negativi anche ai controlli neonatali.
Tuttavia, anche per il passaggio del virus dalla madre al feto vi sono differenze tra la SARS e la MERS e l’attuale pandemia in termini di aborto spontaneo e di eventi malformativi. Il tasso di aborto spontaneo riferito dai lavori per questi due ultimi, viene riportato del 57% mentre nelle gravidanze da COVID-19 non vi sono state, sinora, segnalazioni di aumento dell’aborto spontaneo rispetto a quello della popolazione generale (12-16%).
Inoltre, anche cumulando tutti i dati in questi 18 anni, non sono state segnalate prevalenze maggiori di malformazioni nelle gravidanze da SARS e da MERS così come non vi sono segnalazioni di aumenti di malformazioni nelle gravidanze da COVID-19. Invece, viene confermata una prevalenza di parto prematuro, maggiore rispetto alla popolazione generale, che è presente sia nelle due precedenti epidemie che nell’attuale pandemia, anche se con percentuali inferiori in quella attuale (80% contro il 44.4% dei casi attuali).
La sequela di queste gravidanze, complicate dalla positività del COVID-19, deve tener conto di alcune raccomandazioni:
1) Diradare i controlli face-to-face lasciando solo quelli più necessari: 13° settimana, 20° settimana, 32° settimana e, se necessario, 36° settimana e utilizzando telefono e videochiamate per consulenze;
2) Concentrare esami ematochimici, visita clinica ed ecografia nello stesso giorno, con 1 solo accompagnatore presente;
3) In caso di inizio travaglio, utilizzare il percorso COVID positivo, come già prestabilito nel protocollo del Policlinico Gemelli, in Pronto Soccorso, in reparto (12 letti della Patologia Ostetrica) e in una stanza dedicata in Sala Parto con personale dedicato (ostetrica, ginecologo, anestesista, neonatologo) con approccio multi e interdisciplinare ma con professionista singolo al letto della gravida;
4) Durante il travaglio monitorizzare il feto e la saturazione di ossigeno della madre (>94%) con scelta di anestesia epidurale preferenzialmente in caso di taglio cesareo;
5) Dopo il parto la scelta dell’allattamento viene fatta caso per caso sulla base del bilanciamento della gravità dei sintomi della madre con l’importanza dell’allattamento al seno. Si allontana, quindi, temporaneamente, la madre dal bambino e si utilizza il latte materno, possibilmente non pastorizzato, perché il virus non passa nel latte.
Alla luce dei dati esposti, e tenendo presente che la storia naturale di questo virus può evolversi con nuove evidenze cliniche, ad oggi possiamo fare una sintesi epicritica dei seguenti punti:
a) La polmonite materna non è dissimile da quella fuori gravidanza o da pazienti COVID negativi;
b) Non c’è il passaggio del virus dalla madre al feto, dimostrato dal fatto che circa 90 bambini di madri con polmonite da COVID sono tutti negativi;
c) Non vi è maggior rischio di aborto spontaneo o malformazioni;
d) Vi è un aumento percentuale di tendenza al parto prematuro e/o rottura delle membrane;
e) La scelta del parto, se cesareo o vaginale, sembra non essere influente sul passaggio del virus durante il parto, tuttavia, se venisse confermata la presenza del virus nelle secrezioni fecali, è ovvio che la scelta del parto vaginale sarebbe non indicata.
f) In caso di taglio cesareo l’anestesia epidurale è quella più consigliata anche se, motivi di gravità clinica della madre o altre indicazioni di urgenza, possono, in casi selezionati, essere affrontati con l'anestesia generale utilizzando boccagli che permettono una ultrafiltrazione delle particelle virali (< 0,03 millimicron);
g) L’allattamento deve essere prudente ma la valutazione caso per caso, vista l'importanza del "bonding" madre-neonato e dell'allattamento, può comportare il differimento dello stesso ricorrendo al biberon con il latte materno.