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La Vita e la Scienza

Le cure palliative prenatali: criteri scientifici e criteri politici

Una tesi sulle cure palliative prenatali è sicuramente una tesi fondata sulla scienza dell’evidenza e sugli studi degli ultimi venti anni.
 
Come racconta il professor Anand, dinanzi alla domanda ben precisa di membri autorevoli dell’ostetricia mondiale sul significato di fare una analgesia ad un feto durante una procedura di aborto volontario, la risposta dello scienziato, giustamente considerato il padre dell’analgesia feto-neonatale, fu molto semplice e razionale: “cari signori, so che molti di voi hanno fatto sperimentazione sull’animale e qualunque fosse il tipo di specie animale usata per gli esperimenti, veniva sempre effettuata analgesia, anche se poi, alla fine dei singoli episodi sperimentali, spesso l’animale veniva sacrificato. Allora non capisco la meraviglia di una domanda che ha una sua ragionevole risposta: se si fa un’analgesia nell’animale sperimentale che dopo viene sacrificato, perché non farlo per l’essere umano, l’embrione umano, il cucciolo dell’uomo?”.
Da questi elementi che fanno intravedere come la cultura della scienza prenatale non voglia accettare che l’embrione sia una persona umana, nasce l’osservazione che l’uso dell’evidenza scientifica non rappresenti più un elemento razionale valido per oltrepassare gli steccati ideologici e le convinzioni personali.
La dimostrazione del protagonismo biologico dell’embrione ha incontrato grandi difficoltà; tuttavia mentre l’evidenza che l’embrione sia un protagonista, che sia relazionato con la madre e che possa essere curato come un paziente a tutti gli effetti è suffragata da migliaia di lavori scientifici (“Il tuo destino dal giorno uno” Helen Pearson in Nature 2002[1]; “l’embrione è un attivo orchestratore del suo impianto e del suo destino futuro” British Medical Journal, editoriale 2000), le tesi che non riconoscono questa evidenza sono fondate su elementi politici del tutto inconsistenti e fuori dalle evidenze della scienza. Un esempio eclatante è dato dal termine pre-embrione, coniato appositamente per poter sdoganare da parte del parlamento inglese la sperimentazione sugli embrioni congelati dopo fecondazione extracorporea.
Nel 1984 a sei anni dalla nascita della prima bambina ottenuta con fecondazione extracorporea, Louise Brown, nei laboratori inglesi vi erano già diverse migliaia di embrioni congelati. Un gruppo di genetisti con a capo la professoressa Mac Laren coniarono il termine di “pre-embrione” con una finalità del tutto antiscientifica: quella di poter giustificare, solo su base semantica, che l’embrione fino a 14 giorni dopo il concepimento non aveva dignità tale da poter essere utilizzato negli esperimenti di laboratorio.
Alla domanda del professor Angelo Serra, direttore dell’Istituto di Genetica dell’Università Cattolica ed eminente scienziato internazionale, sul perché genetisti e scienziati illustri avessero fatto questo trasformismo semantico senza elementi di scienza che lo giustificassero, la Mac Laren rispose: "Una volta che il processo è iniziato, non c’è nessuna parte che sia più importante di un’altra; tutte sono parti di un processo continuo e se ciascuno stadio non ha luogo normalmente, al tempo giusto e nella corretta sequenza, lo sviluppo ulteriore cessa; abbiamo tuttavia concordato nel ritenere questo un settore nel quale debbano essere assunte precise decisioni per calmare l’ansietà diffusa nell’opinione pubblica” (M.Warnock, A question of life: 'The'Warnock' report' on Human fertilization and embryology, Blackwell, Oxford,1984)[2]; al che il professor Serra rispose come quelle fossero argomentazioni politiche e non scientifiche.
Questa schizofrenia etica e valoriale, che pone sullo stesso piano di validità criteri scientifici e criteri politici, fa parte della società liquida del relativismo e del soggettivismo, per la quale non esistono criteri universalmente accettabili neppure dinanzi ad evidenze scientifiche molto forti. Questa attitudine a mescolare un certo tipo di “umanismo” con la reale umanità, accompagna anche il problema della analgesia feto-neonatale, poiché fino a trenta anni fa si pensava che i bambini prematuri non avessero sensibilità dolorosa e che quindi l’analgesia non fosse necessaria. Fu proprio il professor Anand a rompere la cortina della ignoranza consapevole e inconsapevole, dimostrando come vi fosse un razionale scientifico ben preciso sul fatto che un bambino prematuro possa sentire dolore[3].
Sulla base di questa evidenza allora non ci sarebbero state ragioni per escludere che un feto alla stessa età gestazionale non sentisse dolore.
Gli studi successivi di Fisk ed altri colleghi hanno prodotto un’evidenza diretta della risposta ormonale ed emodinamica al dolore da parte del feto[4]. Nei protocolli di ricercatori che facevano procedure invasive di terapia fetale furono introdotte le procedure di analgesia in tutte quelle condizioni in cui direttamente (con tecniche che attraversavano il corpo fetale) o indirettamente, vi erano condizioni che potessero provocare sensazioni dolorose al feto[5][6][7]. Seguendo le indicazioni del professor Anand anche negli aborti volontari tardivi veniva consigliata di usare una somministrazione fetale diretta, intramuscolo o nel cordone ombelicale, di un oppioide (fentanil) e di un miorilassante (pancuronio).
La stessa strategia di manipolare con termini edulcorati azioni eticamente gravi veniva usata nella riduzione degli embrioni (killing di 4 embrioni su 6 utilizzando iniezioni intracardiache di cloruro di potassio per fermare il battito dell’embrione), con la finalità di giustificare un management tale da poter assicurare almeno due figli alla coppia seguita.
Motivazioni simili vengono usate oggi per giustificare l’aborto eugenetico con l’apparente finalità compassionevole di togliere la vita per impedire la sofferenza futura: ogni anno, come avveniva per le leggi razziali all’epoca del nazismo (quando migliaia di disabili venivano inviati ai campi di concentramento per essere uccisi), anche in Italia cinquemila embrioni con differente grado di disabilità, sulla base della legge 194, vengono indirizzati all’aborto eugenetico.
Ecco quindi che una cultura che vede nel bambino non ancora nato un paziente protagonista, relazionato e degno di cura come una persona adulta, è una cultura che viene combattuta non con le armi della evidenza della scienza ma con le armi dello strapotere politico, togliendo libertà di decisione alle donne e ostacolando coloro che vogliono aiutare il processo di consapevolezza delle stesse, con la finalità di preservare non solo la vita dei bambini, pur con disabilità, ma anche la salute psicologica delle donne, delle coppie e delle famiglie.
Pur essendo la legge 194 ingiusta e fortemente eugenistica (dal 1981 al 2015 l’aborto per motivi eugenetici dopo le 12 settimane è passato dal 0,5% al 5%), tuttavia agli articoli 5 e 6, la legge prevede che si forniscano alternative alla decisione di interrompere la gravidanza. È sotto la cultura storica del pianeta il concetto che non si elimina la sofferenza eliminando il sofferente. Invece proprio in questi giorni nella laica Francia si vara una legge che non solo impedisce di aiutare le donne a scegliere nella consapevolezza ma addirittura si mette il bavaglio anche al web, per cui anche suggerimenti via internet che si oppongono all’interruzione volontaria, vengono perseguiti penalmente fino a 2 anni di carcere e trentamila euro di sanzione pecuniaria.
Noi crediamo che Ragione e vita non si oppongano, così come non si oppongono verita’ e scienza, e che non si possa comprimere la libertà di decisione della donna né le possibilità di farla riflettere dinanzi ad un gesto che può cambiare completamente non solo la sua vita procreativa e affettiva ma anche quella psicologica.
L’Hospice Perinatale e il Centro per le Cure Palliative Prenatali del Policlinico Gemelli si pone su un crinale scientifico e culturale ben preciso: fornire evidenze scientifiche che la relazione madre feto sia oggettivamente inscindibile e che il supporto con tecniche invasive e non invasive di terapia e palliazione prenatale sia per la madre che per il feto sia un dovere finalizzato a lenire il dolore, a curare ciò che è possibile curare e soprattutto a “prendersi cura” di questa diade speciale e meravigliosa che è la gravidanza con un bambino in utero con problematiche di diversa gravità. Da tutto ciò che è stato detto, questa tesi sulle cure palliative prenatali dimostra che è possibile una scienza che sposa l’umanità e la sua tenerezza.
 
A cura del Prof. Giuseppe Noia
 
 
Introduzione alla tesi di laurea “Le cure palliative prenatali: scienza ed etica sposano l’umano” di Greco Marta - Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” - Roma -Universita’ Cattolica Del Sacro Cuore - Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente - Hospice Perinatale-Centro per le Cure Palliative Prenatali- S. Madre Teresa di Calcutta. Relatore Prof. Giuseppe Noia
[1] Developmental biology: Your destiny, from day one. Helen Pearson, Nature 4 giugno 2002
[2] M.Warnock, A question of life:'The'Warnock' report' on Human fertilization and embryology, Blackwell, Oxford,1984
[3] Anand KJ,Phil D., Hickey PR: Pain and its effect in the human neonate and fetus. NJEM
[4] Fisk NM, Gitau R, Teixeira JM, Giannakoulopoulos X, Cameron AD, Glover VA (2001) Effect of direct fetal opioid analgesia on fetal hormonal and hemodynamic stress response to intrauterine needling. Anesthesiology 95(4):82835
[5] Anand KJ, Hickey PR; Halthane-Morfine compared with hight dose of sufentanil for anesthesia and postoperative analgesia in neonatal cardiac surgery. NJEM 1992
[6] Anand KJ, Barton BA, McIntosh N (1999) et al. "Analgesia and sedation in preterm neonates who require ventilatory support: results from the NOPAIN trial. Neonatal outcome and prolonged analgesia in neonates", Archives of Pediatric and Adolescent Medicine, 153: 331-338
[7] Anand KJ, Sippel WG, Aynsley Green A. : Randomized trial of fentanyl anesthesia. Lancet 1987b.
 

                  

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