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Trisomia 18: approfondire le conoscenze per creare nuovi percorsi assistenziali

Qualche tempo fa siamo entrati in contatto con l’Associazione Soft Italia che unisce famiglie che hanno, o hanno avuto, figli con trisomia 13 e 18.

Come Fondazione il Cuore in una Goccia, fornendo assistenza a tutte le condizioni patologiche prenatali, abbiamo anche noi avuto modo di seguire famiglie con diagnosi prenatali di questo tipo. Nell’ascoltare il racconto dei vissuti accomunati dell’associazione, è emersa, in modo chiaro, una comunanza di esperienze che rifuggono ogni logica selettiva sulla vita di un essere umano; che si pongono contro corrente, contro chi dà per scontato che non si possa accogliere una disabilità; contro chi misura la qualità della vita in funzione di capacità esclusivamente fisiche o intellettive ignorando tutto il patrimonio di amore e relazione che unisce i genitori ai propri figli. Se si guarda a queste famiglie, ne viene fuori un bisogno impellente di conoscere e far conoscere la loro realtà e l’esistenza stessa dei loro figli; la necessità di far sapere a tutti che queste patologie non sono così steriotipate come si dice (e come è stato loro presentato al momento della diagnosi).

Come ci spiega il Prof. Giuseppe Noia: “Conoscere la storia naturale di una patologia prenatale consiste nel seguire in maniera longitudinale la evoluzione della malattia prima della nascita, al parto e nel lungo periodo dopo la nascita stessa.

Quando si propone, nel panorama scientifico prenatale, l’importanza del conoscere la storia naturale di una patologia si attua un’azione culturale di grande spessore scientifico per 3 specifiche ragioni:

1. Si rafforzano le basi scientifiche della consulenza su quella specifica patologia e ne consegue un più alto valore oggettivo nella informazione che si dona alla coppia e alla famiglia.

2. Quest’ultima ha elementi scientifici di proiezione oggettiva su come andrà l’approccio alla fragilità prenatale del proprio bambino e ci si apre alla speranza.

3. Il tempo dedicato e le spiegazioni fornite implementano il rapporto relazionale con le figure mediche e si traducono in consolazione e tranquillità, pur nella gravità del problema: il loro bambino viene seguito con grande cura e dignità.

Cumulare questi dati e pubblicarli ha permesso un grande salto conoscitivo negli ultimi 40 anni in gravi patologie fetali come l’anemia del feto dovuto a incompatibilità materno fetale, gli interventi invasivi e non invasivi nelle gravi patologie ostruttive delle vie escretrici del rene, la terapia delle gravi tachiaritmie fetali, l’ipotiroidismo con gozzo fetale (con alto rischio di ritardo mentale) la spina bifida, le idrocefalie e i teratomi sacrococciggei. Una patologia particolare e ad alto rischio è l’igroma cistico e le linfoangiomatosi fetali: anche un tal caso la conoscenza della storia naturale ha permesso che una diagnosi non diventasse una sentenza ma una esperienza di apertura alla speranza e alla vita.

Nel caso della trisomia 18 nuovi elementi esperienziali e testimoniali degli ultimi 15 anni sembrano confermare come anche questa condizione patologica prenatale non dovrebbe più essere connotata come incompatibile con la vita”.

La difficoltà incontrata dai genitori nel reperire informazioni approfondite sulla patologia del proprio figlio (classificata semplicemente come incompatibile con la vita) e il giudizio negativo che spesso accompagna una scelta di accoglienza della vita fragile, pesa su di esse tanto quanto la malattia stessa.
È per tutte queste ragioni che abbiamo deciso di condividere l’esperienza dell’Associazione Soft le cui famiglie sono state incluse in uno studio di grande interesse e i cui risultati è importante che vengano condivisi. Insieme ai dati di questo studio vogliamo unire anche le conclusioni di uno studio condotto dal team dell’Hospice Perinatale del Policlinico Gemelli di Roma inerente casi assistiti, fin dalla fase prenatale, di trisomia 18. Uno studio che si lega ai rilievi che emergono nello studio di Soft e che mostra come, in realtà ospedaliere come il Policlinico Gemelli, si stiano già applicando nuovi approcci per la gestione di questo tipo di patologie.
Il nostro intento è quello di dire di più su di esse, di dare, attraverso l’informazione, speranza e forza alle famiglie per accogliere i loro bambini.

Come riportato dai genitori, questi figli se da un lato stravolgono la vita, contestualmente le danno una dimensione diversa; se è vero che impegnano fisicamente e mentalmente, allo stesso tempo colmano d’amore le loro famiglie. In conclusione, per dirla con le parole di uno dei genitori intervistati dall’Associazione Soft, una “Raffinatissima felicità per il cuore”.

 

TRISOMIA 18 – SONDAGGIO FAMIGLIE

Roberta Gullone - Associazione Soft Italia

Può la vita brevissima di un bimbo, durata appena 8 mesi, cambiare la vita di molti, infondere la nuova consapevolezza che ci sia ancora molto lavoro da fare per migliorare l’esistenza di creature come lui e renderla degna nonostante la brevità? Io credo che sia possibile.
Angelo, così si chiama il piccolo in questione, nasce con trisomia 18, una patologia considerata incompatibile con la vita o molto invalidante. Il suo, seppur rapido, percorso di vita è stato di ispirazione per la raccolta dati che abbiamo condotto nel 2019.
L’associazione SOFT Italia, formata esclusivamente da famiglie che hanno o hanno avuto al loro interno bambini o ragazzi con trisomia 13 o 18, si occupa da più di dieci anni di informare e sostenere tutti coloro che ricevono per i loro figli tali diagnosi e eventualmente di metterli in contatto tra loro per potersi scambiare notizie e consigli utili che difficilmente si riescono a reperire altrove.
La complessità maggiore è proprio ottenere informazioni. Le strutture ospedaliere o territoriali, che seguono le famiglie durante la gravidanza o dopo la nascita di questi bambini, non hanno sufficienti dati per poter dir loro come sarà vivere con un bimbo con tali patologie. Lo smarrimento, la paura, l’impotenza, il senso di abbandono sono i sentimenti più comuni che attanagliano queste famiglie.
I genitori di Angelo, come molti altri che ci contattano, hanno ricevuto la diagnosi di trisomia 18 durante la gravidanza. Quando ci sentimmo la prima volta telefonicamente rimasero esterrefatti nell’apprendere che io stessa, oltre ad occuparmi appunto di cercare di dare risposte alle famiglie che si rivolgono a Soft Italia, sono la mamma di Francesco, nato nel 2009 con trisomia 18 completa e attualmente ancora con noi. Ma il mio Francesco non è il solo. Attraverso l’associazione ho avuto modo di conoscere personalmente o telefonicamente altri ragazzi che sono vivi con trisomia 18 o 13 in Italia: il più grande con trisomia 18 ha oggi 37 anni, la più grande con trisomia 13 ha compiuto ben 35 anni e via via altri ragazzi di ogni età.
A questi futuri genitori era stato detto, come a tutti i genitori che conosciamo attraverso l’associazione, che i bambini con trisomia 18 difficilmente arrivano alla fine della gravidanza e se nascono muoiono entro l’anno di vita, informazione corretta nel 90% dei casi, ma come si può non prendere in considerazione il 10% che invece sopravvive, proprio in virtù di una corretta informazione?
Angelo è rientrato in quel 90% purtroppo, ma la cosa sorprendente è stata che in quei suoi otto mesi di vita ha inondato di amore e sorpresa non solo i suoi genitori ma anche l’equipe di medici che lo hanno seguito. Non era un vegetale come ci si aspettava, né un bimbo sofferente, non è vissuto solo in ospedale. Erano sicuramente presenti criticità a livello respiratorio e cardiaco ma si evidenziavano anche numerosi segni di miglioramento. Poi all’improvviso le sue condizioni sono precipitate, nel giro di quattro giorni si è verificato una sorta di blackout che lo ha condotto alla morte. Perché? Quali sono state le condizioni che hanno fatto sì che si verificasse questo? Era possibile prevederlo?
Queste sono le domande che hanno “tormentato” la dottoressa, responsabile dell’equipe che ha seguito il bambino, la quale mi ha contattato per sapere se conoscessi altri bimbi e le loro condizioni.

Angelo l’aveva turbata perché si era discostato molto da ciò che veniva previsto per un bimbo con trisomia 18, seppur mancato prima dell’anno di vita. I dati disponibili in merito sono scarsissimi e quindi è nata con lei l’idea ma soprattutto l’esigenza di raccogliere informazioni da tutti i genitori coinvolti con la nostra associazione. Occorre conoscere, per capire soprattutto se è possibile intervenire preventivamente su questi bimbi poiché non siano solo pazienti da accompagnare semplicemente a morte certa ma agire, quando possibile, lungo il decorso naturale della patologia per dar loro la migliore qualità di vita possibile lunga o breve che sia.

Abbiamo proposto alle nostre famiglie un questionario.
La discriminante è stata: i soggetti con trisomia 18 e trisomia 13 attualmente in vita e i soggetti con trisomia 18 e 13 nati e deceduti in seguito. Sono stati richiesti dati clinici durante la gravidanza, alla nascita, le cause di morte oppure gli interventi chirurgici che hanno affrontato i bimbi e i ragazzi che ancora vivono. Sono presenti anche domande che vertono più sull’aspetto sociologico, cioè su come le famiglie sono state seguite non solo a livello medico ma anche umano.
Abbiamo raccolto 22 testimonianze di soggetti con trisomia 18 attualmente in vita e 13 testimonianze di soggetti con trisomia 18 nati e deceduti. I dati per la trisomia 13 sono più scarsi e ancora da riordinare.

Per quanto riguarda i questionari rivolti alla trisomia 18 emerge che a tutte le famiglie che hanno conosciuto la diagnosi in gravidanza è stato consigliato l’aborto terapeutico, in virtù della diagnosi di trisomia evidenziata tramite test combinato, amniocentesi o villocentesi, indipendentemente dalle situazioni ecografiche che pur presentando caratteristiche comuni alla patologia hanno un ventaglio di variabili molto ampio. In diverse non sono presenti malformazioni evidenti.

Alcune famiglie testimoniano che nonostante sia stato consigliato loro l’IVG, sono state poi seguite durante la gestazione in maniera discreta ma alcune hanno sentito il forte pregiudizio dato dalla diagnosi infausta, durante tutto il percorso della gravidanza.

Dopo la nascita quasi tutti i genitori hanno ricevuto insieme alla conferma della trisomia 18 parole del tipo “la trisomia 18 è incompatibile con la vita”, “non esistono bambini che superano l’anno”, “non è possibile intervenire chirurgicamente poiché non ne vale la pena con la trisomia 18” ecc. e questo non considerando la reale situazione del paziente. Alcuni genitori hanno dovuto girare vari ospedali per trovare medici che fossero disposti a operare i loro figli. La maggior parte dei ragazzi attualmente in vita hanno affrontato almeno un intervento cardiaco nella prima infanzia, senza il quale probabilmente non sarebbero sopravvissuti. A quasi a tutti è stato comunque offerto il sostegno psicologico e tra chi ne ha usufruito molti lo hanno ritenuto valido.

Nonostante ciò, occorrerebbe fare un salto di qualità nell’approfondimento delle conoscenze di queste patologie, poiché, seppure in qualche caso con insistenza da parte dei genitori, la quasi totalità delle strutture ospedaliere hanno adottato terapie mediche valide e corrette, la cura nei confronti di questi bimbi è ancora da migliorare. Siamo consci, come associazione, che le trisomie in questione hanno un tasso di mortalità altissimo ma negare la presenza in vita di alcuni soggetti con trisomia, ad esempio, getta nello sconforto e nell’isolamento i genitori, che in un primo momento non hanno indicazioni su come gestire una situazione problematica nella quotidianità e non hanno persone con cui confrontarsi.

La nostra speranza è che i dati raccolti possano essere un piccolo inizio per rivedere le informazioni attualmente a disposizione, scarse e frammentate per arrivare ad avere linee guida specifiche che diano la possibilità a questi bimbi di avere un percorso di cura adatto alle loro specifiche esigenze.
Al termine del questionario viene chiesto a tutte le famiglie quanto è cambiata la loro vita e cosa hanno lasciato loro questi bambini. La maggioranza afferma che sicuramente la loro vita è molto cambiata ma che le brevi vite dei loro figli hanno comunque donato loro, nonostante le difficolta di vivere con disabilità importanti e la perdita, una nuova visione della vita stessa, migliore, più profonda.
Le famiglie che hanno ancora i loro figli in vita dichiarano che è una vita impegnativa ma non priva di gioie e soddisfazioni.
 
La nostra associazione si rende disponibile a condividere i dati con il personale medico che ne faccia richiesta e che desideri approfondire l’argomento.

Tengo a ringraziare per questa raccolta dati tutte le famiglie che hanno partecipato, la dottoressa Lucia De Zen che non si arresa davanti ad una diagnosi infausta e che ha contribuito alla stesura dei questionari, i genitori di Angelo che hanno condiviso la loro storia (Guarda il video) ma soprattutto il piccolo Angelo che in otto mesi ha donato a loro e a tutti noi un amore e un coraggio infinito.

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tel.3701346848
I nostri video

 

Le prospettive sulla cura perinatale e la gestione della trisomia 18 nell’esperienza dell’Hospice Perinatale – Centro per le cure palliative prenatali “Santa Madre Teresa di Calcutta” del Policlinico Gemelli di Roma.

Lo studio in questione analizza soprattutto gli aspetti di gestione, sotto il profilo medico-clinico, del piccolo paziente affetto da Trisomia 18, fin dalla fase prenatale, e sotto il profilo del counselling e degli aspetti relazionali che coinvolgono la famiglia che riceve la diagnosi patologica. Un lavoro importante se si considera la scarsità di letteratura medica sulla gestione specifica di famiglie il cui bambino ha una prognosi incerta.

Emergono dallo studio dati utili ai medici per offrire informazioni sulle opzioni di trattamento alle famiglie dei pazienti con trisomia 18.

Questi dati evidenziano, ancora una volta, che la storia naturale di questa sindrome genetica non è la stessa per tutti i pazienti e la prognosi e gli esiti potrebbero essere molto diversi, soprattutto a lungo termine. Ne deriva una difficoltà nel fornire informazioni precise ai genitori sulle limitazioni che tali condizioni possono generare nella vita del bambino. Per questo motivo è molto importante che il referto diagnostico sia accompagnato da un'informazione accurata sostenuta dalle evidenze scientifiche riguardanti la fisiopatologia di questa condizione, la sua storia naturale, i possibili approcci terapeutici e i diversi scenari per il futuro del bambino, che devono essere condivise con la coppia.

Per quanto gli aspetti propriamente medico-clinici siano centrali nella fase di counselling, viene evidenziato come sia fondamentale non ignorare gli aspetti psicologici e, dunque, il modo di dare le informazioni. Si tratta di una questione molto rilevante, considerato che la componenente emotiva legata alla diagnosi spesso può cambiare le decisioni che seguono la stessa.  Viene quindi proposta una nuova prospettiva per la consulenza vista più che come mero consulto medico, come primo step di un rapporto empatico con la coppia che si svilupperà nei mesi di gravidanza e anche dopo il parto.

Allo stesso modo, viene suggerita l’impostazione di una rete in cui la coppia possa incontrare il ginecologo e tutti gli specialisti i quali condividono tutte le decisioni sulla gestione della gravidanza, sul parto e sul grado degli interventi medici, discutendo e vagliando insieme, per ognuna di esse, rischi e benefici sia per il feto che per la gestante.

È dimostrato che il 40-85% delle coppie a cui sono state offerte cure palliative pediatriche decide di continuare la gravidanza, provando appagamento e gratificazione in modo retrospettivo.

Molti genitori ritengono che l’interruzione di gravidanza non renda la situazione meno difficile da gestire, anzi, amplifichi il danno postumo, soprattutto sul piano psicologico. L’esperienza mostra che se alle famiglie vengono offerti supporto e assistenza clinica, in queste situazioni molti di loro scelgono di accogliere i loro bambini con fragilità intraprendendo un percorso assistenziale che collega le moderne terapie mediche con un supporto psicologico e umano. È questo l’approccio che caratterizza l’Hospice Perinatale del Policlinico Gemelli.

​​La conclusione finale dello studio è che, anche se la prognosi nei casi di trisomia 18 è sfavorevole, non può essere considerata solo una condizione letale. Ne deriva un obbligo ad una riflessione sulle possibilità terapeutiche, sui possibili interventi palliativi e sulle implicazioni di ordine etico e psico-sociale.

 

Foto freepik

                  

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