Come Fondazione il Cuore in una Goccia, fornendo assistenza a tutte le condizioni patologiche prenatali, abbiamo anche noi avuto modo di seguire famiglie con diagnosi prenatali di questo tipo. Nell’ascoltare il racconto dei vissuti accomunati dell’associazione, è emersa, in modo chiaro, una comunanza di esperienze che rifuggono ogni logica selettiva sulla vita di un essere umano; che si pongono contro corrente, contro chi dà per scontato che non si possa accogliere una disabilità; contro chi misura la qualità della vita in funzione di capacità esclusivamente fisiche o intellettive ignorando tutto il patrimonio di amore e relazione che unisce i genitori ai propri figli. Se si guarda a queste famiglie, ne viene fuori un bisogno impellente di conoscere e far conoscere la loro realtà e l’esistenza stessa dei loro figli; la necessità di far sapere a tutti che queste patologie non sono così steriotipate come si dice (e come è stato loro presentato al momento della diagnosi).
Quando si propone, nel panorama scientifico prenatale, l’importanza del conoscere la storia naturale di una patologia si attua un’azione culturale di grande spessore scientifico per 3 specifiche ragioni:
1. Si rafforzano le basi scientifiche della consulenza su quella specifica patologia e ne consegue un più alto valore oggettivo nella informazione che si dona alla coppia e alla famiglia.
2. Quest’ultima ha elementi scientifici di proiezione oggettiva su come andrà l’approccio alla fragilità prenatale del proprio bambino e ci si apre alla speranza.
3. Il tempo dedicato e le spiegazioni fornite implementano il rapporto relazionale con le figure mediche e si traducono in consolazione e tranquillità, pur nella gravità del problema: il loro bambino viene seguito con grande cura e dignità.
Nel caso della trisomia 18 nuovi elementi esperienziali e testimoniali degli ultimi 15 anni sembrano confermare come anche questa condizione patologica prenatale non dovrebbe più essere connotata come incompatibile con la vita”.
Come riportato dai genitori, questi figli se da un lato stravolgono la vita, contestualmente le danno una dimensione diversa; se è vero che impegnano fisicamente e mentalmente, allo stesso tempo colmano d’amore le loro famiglie. In conclusione, per dirla con le parole di uno dei genitori intervistati dall’Associazione Soft, una “Raffinatissima felicità per il cuore”.
TRISOMIA 18 – SONDAGGIO FAMIGLIE
Roberta Gullone - Associazione Soft Italia
Angelo l’aveva turbata perché si era discostato molto da ciò che veniva previsto per un bimbo con trisomia 18, seppur mancato prima dell’anno di vita. I dati disponibili in merito sono scarsissimi e quindi è nata con lei l’idea ma soprattutto l’esigenza di raccogliere informazioni da tutti i genitori coinvolti con la nostra associazione. Occorre conoscere, per capire soprattutto se è possibile intervenire preventivamente su questi bimbi poiché non siano solo pazienti da accompagnare semplicemente a morte certa ma agire, quando possibile, lungo il decorso naturale della patologia per dar loro la migliore qualità di vita possibile lunga o breve che sia.
Per quanto riguarda i questionari rivolti alla trisomia 18 emerge che a tutte le famiglie che hanno conosciuto la diagnosi in gravidanza è stato consigliato l’aborto terapeutico, in virtù della diagnosi di trisomia evidenziata tramite test combinato, amniocentesi o villocentesi, indipendentemente dalle situazioni ecografiche che pur presentando caratteristiche comuni alla patologia hanno un ventaglio di variabili molto ampio. In diverse non sono presenti malformazioni evidenti.
Alcune famiglie testimoniano che nonostante sia stato consigliato loro l’IVG, sono state poi seguite durante la gestazione in maniera discreta ma alcune hanno sentito il forte pregiudizio dato dalla diagnosi infausta, durante tutto il percorso della gravidanza.
Dopo la nascita quasi tutti i genitori hanno ricevuto insieme alla conferma della trisomia 18 parole del tipo “la trisomia 18 è incompatibile con la vita”, “non esistono bambini che superano l’anno”, “non è possibile intervenire chirurgicamente poiché non ne vale la pena con la trisomia 18” ecc. e questo non considerando la reale situazione del paziente. Alcuni genitori hanno dovuto girare vari ospedali per trovare medici che fossero disposti a operare i loro figli. La maggior parte dei ragazzi attualmente in vita hanno affrontato almeno un intervento cardiaco nella prima infanzia, senza il quale probabilmente non sarebbero sopravvissuti. A quasi a tutti è stato comunque offerto il sostegno psicologico e tra chi ne ha usufruito molti lo hanno ritenuto valido.
Nonostante ciò, occorrerebbe fare un salto di qualità nell’approfondimento delle conoscenze di queste patologie, poiché, seppure in qualche caso con insistenza da parte dei genitori, la quasi totalità delle strutture ospedaliere hanno adottato terapie mediche valide e corrette, la cura nei confronti di questi bimbi è ancora da migliorare. Siamo consci, come associazione, che le trisomie in questione hanno un tasso di mortalità altissimo ma negare la presenza in vita di alcuni soggetti con trisomia, ad esempio, getta nello sconforto e nell’isolamento i genitori, che in un primo momento non hanno indicazioni su come gestire una situazione problematica nella quotidianità e non hanno persone con cui confrontarsi.
Tengo a ringraziare per questa raccolta dati tutte le famiglie che hanno partecipato, la dottoressa Lucia De Zen che non si arresa davanti ad una diagnosi infausta e che ha contribuito alla stesura dei questionari, i genitori di Angelo che hanno condiviso la loro storia (Guarda il video) ma soprattutto il piccolo Angelo che in otto mesi ha donato a loro e a tutti noi un amore e un coraggio infinito.
Le prospettive sulla cura perinatale e la gestione della trisomia 18 nell’esperienza dell’Hospice Perinatale – Centro per le cure palliative prenatali “Santa Madre Teresa di Calcutta” del Policlinico Gemelli di Roma.
Lo studio in questione analizza soprattutto gli aspetti di gestione, sotto il profilo medico-clinico, del piccolo paziente affetto da Trisomia 18, fin dalla fase prenatale, e sotto il profilo del counselling e degli aspetti relazionali che coinvolgono la famiglia che riceve la diagnosi patologica. Un lavoro importante se si considera la scarsità di letteratura medica sulla gestione specifica di famiglie il cui bambino ha una prognosi incerta.
Emergono dallo studio dati utili ai medici per offrire informazioni sulle opzioni di trattamento alle famiglie dei pazienti con trisomia 18.
Questi dati evidenziano, ancora una volta, che la storia naturale di questa sindrome genetica non è la stessa per tutti i pazienti e la prognosi e gli esiti potrebbero essere molto diversi, soprattutto a lungo termine. Ne deriva una difficoltà nel fornire informazioni precise ai genitori sulle limitazioni che tali condizioni possono generare nella vita del bambino. Per questo motivo è molto importante che il referto diagnostico sia accompagnato da un'informazione accurata sostenuta dalle evidenze scientifiche riguardanti la fisiopatologia di questa condizione, la sua storia naturale, i possibili approcci terapeutici e i diversi scenari per il futuro del bambino, che devono essere condivise con la coppia.
Per quanto gli aspetti propriamente medico-clinici siano centrali nella fase di counselling, viene evidenziato come sia fondamentale non ignorare gli aspetti psicologici e, dunque, il modo di dare le informazioni. Si tratta di una questione molto rilevante, considerato che la componenente emotiva legata alla diagnosi spesso può cambiare le decisioni che seguono la stessa. Viene quindi proposta una nuova prospettiva per la consulenza vista più che come mero consulto medico, come primo step di un rapporto empatico con la coppia che si svilupperà nei mesi di gravidanza e anche dopo il parto.
Allo stesso modo, viene suggerita l’impostazione di una rete in cui la coppia possa incontrare il ginecologo e tutti gli specialisti i quali condividono tutte le decisioni sulla gestione della gravidanza, sul parto e sul grado degli interventi medici, discutendo e vagliando insieme, per ognuna di esse, rischi e benefici sia per il feto che per la gestante.
È dimostrato che il 40-85% delle coppie a cui sono state offerte cure palliative pediatriche decide di continuare la gravidanza, provando appagamento e gratificazione in modo retrospettivo.
Molti genitori ritengono che l’interruzione di gravidanza non renda la situazione meno difficile da gestire, anzi, amplifichi il danno postumo, soprattutto sul piano psicologico. L’esperienza mostra che se alle famiglie vengono offerti supporto e assistenza clinica, in queste situazioni molti di loro scelgono di accogliere i loro bambini con fragilità intraprendendo un percorso assistenziale che collega le moderne terapie mediche con un supporto psicologico e umano. È questo l’approccio che caratterizza l’Hospice Perinatale del Policlinico Gemelli.
La conclusione finale dello studio è che, anche se la prognosi nei casi di trisomia 18 è sfavorevole, non può essere considerata solo una condizione letale. Ne deriva un obbligo ad una riflessione sulle possibilità terapeutiche, sui possibili interventi palliativi e sulle implicazioni di ordine etico e psico-sociale.
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